di Alessandro Seravalli
«Siamo nani sulle spalle di giganti, così che possiamo vedere più cose di loro e più lontane, non certo per l’acume della vista o l’altezza del nostro corpo, ma perché siamo sollevati e portati in alto dalla statura dei giganti». Questa frase è attribuita a Bernardo di Chartres in riferimento all’importanza della storia e delle conquiste conoscitive di quelli che ci hanno preceduto. Abbiamo ereditato beni storici artistici, paesaggi e tradizioni invidiabili dal restro del mondo. Dire che siamo stati privilegiati è dir poco. Tuttavia abbiamo male usato questo lascito probabilmente dandolo per scontato e venendo meno alla possibilità di “vedere più cose e più lontane”.
Improvvisamente la natura con cui l’uomo ha sempre avuto un rapporto di rispetto, di fascino e poi di sfida, in pochi minuti toglie quello che abbiamo. Tracce, simboli, secoli di vissuto che diventano ricordi nei casi peggiori. Se guardiamo le ultime statistiche sulle calamità naturali in Italia negli ultimi anni l’elenco è impressionante. Solo parlando di terremoti l’Italia negli ultimi 5 secoli ha avuto ben 88 grandi terremoti, uno ogni 5 anni e mezzo, senza considerare che basta collegarsi all’INGV e vedere in real time ogni giorno la frequenza di scosse superiori a magnitudo 2.
Frane e inondazioni – fenomeni spesso correlati – negli ultimi cinquant’anni hanno provocato 2007 morti, 87 dispersi, 2578 feriti e 423.728 sfollati.
Se si consulta sul sito dell’ISPRA l’inventario IFFI sui fenomeni franosi emerge che ne sono censite 614.799.
Da un recente documento dell’ANBI abbiamo questi numeri:
Secondo dati del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio, il 9,8% del territorio nazionale è costituito da aree ad elevata criticità idrogeologica; si tratta dell’82% dei comuni, dove si stimano a rischio 6.250 scuole, 550 strutture sanitarie, circa 500.000 aziende (agricole comprese), 1.200.000 edifici residenziali e non.
L’intensa urbanizzazione, sviluppatasi senza tenere in alcuna considerazione le aree fragili dal punto di vista idrogeologico (alluvioni, frane, dissesti), il contemporaneo abbandono delle aree collinari e montane da parte della popolazione e delle attività agricole, i cambiamenti climatici hanno acuito la fragilità del territorio.
Non è possibile stimare il valore della sicurezza, ma quello del costo del dissesto idrogeologico sì: 2,5 miliardi di euro all’anno.
L’ISPRA ha rilevato 1.221.811 ettari del territorio nazionale a pericolosità idraulica elevata (tempo di ritorno degli eventi tra i 20 e 50 anni), 2.441.080 a pericolosità media (tempo di ritorno fra 100 e 200 anni) e 3.215.040 a pericolosità bassa (scarsa probabilità di alluvioni o scenari di eventi estremi). In totale si tratta di 6.877.931 ettari (23% dell’intera superficie).
L’ISPRA, inoltre, ha individuato 1.640 comuni interessati da aree solo con pericolosità da frana elevata o molto elevata, 1.607 comuni interessati da aree solo a pericolosità idraulica media, 3.898 comuni interessati da aree sia a pericolosità da frana elevata o molto elevata, sia a pericolosità idraulica media.
Il totale dei comuni italiani interessati da aree con pericolosità da frana e/o idraulica risultano pertanto 7.145, pari all’88,3%, mentre i comuni non interessati da tali aree risultano solamente 947.
La superficie delle aree classificate a pericolosità da frana elevata o molto elevata e idraulica media ammonta complessivamente a 4.774.700 ettari, pari a 15,8% del territorio nazionale.
La popolazione italiana a rischio frane è 5.624.402 abitanti (1.224.000 abitanti nelle aree a maggiore pericolosità), le imprese a rischio sono 362.369 (79.530 nelle aree a maggiore pericolosità), 34.651 sono i beni culturali a rischio (10.335 nelle aree a maggiore pericolosità), le superfici artificiali si estendono su ha. 1.830.300 (ha. 376.300 nelle aree a maggiore pericolosità).
La popolazione a rischio alluvioni è di 9.039.990 abitanti (di cui 5.922.922 a pericolosità media ed elevata), le imprese a rischio sono 879.364 (di cui 576.535 a pericolosità media ed elevata), i beni culturali a rischio sono 40.454 (di cui 29.005 a pericolosità media ed elevata), le superfici artificiali a rischio si estendono su 292.690 ettari (di cui ha. 201.130 a pericolosità media ed elevata).
Al di là dei numeri, il quadro generale non lascia dubbi. Abbiamo strumenti che fino a qualche decennio fa erano solamente auspicabili eppure è venuta meno l’intelligenza e la memoria.
L’esperienza si è tramutata in promesse in fase di gestione dell’urgenza, a cui non sempre però è corrisposta una attività di comprensione, monitoraggio e manutenzione.
Resettando le buone pratiche della storia ci si ritrova enormemente piccoli difronte alla realtà. Anche se i cambiamenti climatici determinano variazioni e vulnerabilità maggiori, gli eventi hanno una ciclicità anche di secoli ma non sono i resposabili veri dei disastri. Richter, come sismologo diceva che “non sono i terremoti che uccidono le persone, bensì gli edifici mentre cadono”.
Negli ultimi 50 anni si è costruito e operato rendendo più fragile il territorio. Alta densità abitativa in un territorio di per sè fragile ha di fatto generato alto rischio. È l’interazione dell’evento naturale con l’ambiente antropizzato che genera il disastro. La terra si è sempre mossa, i fiumi hanno ciclicamente esondato eppure è cambiato il soprasuolo: nell’area goleanale del fiume sono sorte abitazioni, si è costruito troppo diffusamente e malamente.
Sviluppo senza un corretto rapporto e rispetto della natura non è conveniente alla lunga, non è sostenibile.
Gli insediamenti urbani nella storia si sono sempre rapportati con la conoscenza delle caratteristiche morfologiche e naturali dell’ambiente. Questo sapere si è offuscato, si è preferito ignorare le spalle dei giganti per poi frettolosamente cercare di riacquistare un giudizio e un buon senso.
Si parla di resilienza, di antifragilità, addirittura di capacità di trarre vantaggio da questi fatti come una idra, l’animale mitologico che quanto le veniva tagliata la testa ne rigenerava due.
Il punto è che le calamità naturali esistono e il dimenticarsene o peggio pensare di esserne esenti o che queste siano fatalità é dimostrare di essere miopi e vedere in maniera ridotta la realtà.
L’uomo di per sé è fragile (piaccia o meno) e la natura può essere imprevedibile. L’uomo ha il dovere di cercare e adottare mezzi e tecniche per creare dei filtri volti a tamponare e limitare e o prevenire i danni. Alla tecnologia va affiancata l’intelligenza. Manutenzione, monitoraggio, acquisizione conoscitiva dell esistente, ecc. sono azioni di base non novità o eccellenze, ma normale buon operare.